LUCIO FRANCO MASCI


Laboratorio della Luce

La passione coltivata, da bambinio, per le arti figurative, da ragazzo, in primis, per la letteratura, e, in seguito, per la musica, la fotografia, il cinema e l’architettura, non si è mai esaurita. Tali discipline sono state e restano i miei grandi amori. E, insieme agli studi sui vini, la gastronomia e il paesaggio, iniziati durante la tarda adolescenza, mi fanno buona compagnia..

ECCOLA QUA, LA FACCIA DI UN PALESTINESE!

2025-09-19 09:59

Lucio Franco Masci

PERSONE,

ECCOLA QUA, LA FACCIA DI UN PALESTINESE!

ECCOLA QUA, LA FACCIA DI UN PALESTINESE!

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ECCOLA QUA, LA FACCIA DI UN PALESTINESE!

      Si chiamava Alì Oraney e veniva da un antico centro del Medio Oriente di nome Beit Nuba, dove ammalianti, intrecciati profumi di spezie ed erbe aromatiche allietavano il passaggio tra le strade. Di quegli aromi non resta che uno struggente ricordo: quell’agglomerato di case, dal 1967, non esiste più. Venne raso al suolo e sopravvive solo nella memoria dei pochi che sanno.

Nella luce buona e bella degli occhi di Alì si scorgevano i vicoli di quella città che di giorno si riempiva di sole. Quel bambino palestinese li percorreva e li guardava tutto immerso nel suo infantile stupore. Poi, come tanti altri, non poté più passeggiare in quel gomitolo di strade. E divenne straniero in una terra accogliente.


 

Quando ti recidono le radici sei estraneo ovunque e per sempre.

Quando ti bruciano le radici muori dentro e per sempre.


 

Amò l’Italia, in modo particolare Napoli, dove giunse all’età di nove anni, e non cambiò nome, rimanendo sempre palestinese, non per fanatismo patriottico o per mero nazionalismo, essenzialmente per continuare, come ripeteva alla fine di ogni suo intervento Vittorio Arrigoni, a restare umano.


 

Non si può disconoscere la famiglia, gli amici, la propria gente, la terra di appartenenza. Per nulla al mondo, a costo di perdere tutto.


 

Quando conobbi Alì, subitaneamente, rimasi colpito dal suo sguardo ricco di compassione, dalla disponibilità, dalla generosità, dalla semplicità e soprattutto dalla sua indubbia nobiltà. Con i suoi raffinati modi gentili, garbati, tipici degli arabi, Alì conduceva la sua dura battaglia per il popolo palestinese. Lottava pacificamente, il ragazzo che non aveva più patria. Era anche lui uno dei tanti Handala, il bambino della Palestina creato dall’illustratore Naji al-Ali e, non a caso, al negozio che gestiva nel centro storico di Napoli aveva dato proprio quel nome, che in arabo significa ‘fumettista’. Entrare nel suo piccolo bazar era sempre emozionante, là dentro c’era un pezzo di Palestina. E lui stesso, ovviamente, ne era il rappresentante più pregiato. Tra barattoli pieni di spezie ed erbe aromatiche, specchi da mille e una notte, boccette di profumi ecc. c’erano vari libri, sparsi ovunque. Risultava sempre piacevole e appagante dialogare con lui, era un uomo colto Alì, non solo in economia e commercio, la sua materia di laurea, ma anche in altre discipline e soprattutto in politica. E in un certo senso era un poeta, non perché scrivesse versi (forse lo faceva pure), ma perché viveva poeticamente la quotidianità. Nonostante il visibile alone di sofferenza, causata dal suo vissuto, il profugo lanciava dei dolcissimi sorrisi, anche a chi non li meritava.


 

Una volta gli raccontai che una ragazzina mi aveva chiesto una kefiah originale. Pur di regalargliela e accontentarla, poiché ci teneva tanto, l’avrei pagata a qualsiasi prezzo. Qualche giorno dopo, il ragazzo che veniva dalla Palestina mi portò il copricapo dei contadini palestinesi. Secondo la tradizione, il motivo dei suoi ricami evoca la tipica rete dei pescatori di laggiù e le foglie dell’ulivo. Nonostante la mia insistenza, Alì non volle nemmeno un centesimo. Altre persone provenienti da quell’area geografica, in situazioni simili, si sono comportate con me allo stesso modo. E questi sarebbero i terroristi?

 

Nella sua terra lo sterminio del popolo palestinese continua senza sosta e gli occhi, pieni di paura e terrore, delle persone che vivono lì sono simili a quelli dei giudei dei campi di concentramento nazisti, di cui tutti hanno avuto compassione. Eppure un gran numero dei discendenti di quegli ebrei internati resta indifferente a quegli sguardi.

La carneficina che si sta compiendo nella sacra terra di Palestina, senza nessuna retorica, riguarda ciascuno di noi. E chi non si ferma a soccorrere questi dilaniati esseri umani è colpevole, seppur idealmente, di favoreggiamento. 


 

Alì non c’è più, se ne è andato nel 2020, stroncato dal corona virus. Nel tremendo momento storico che stiamo vivendo è morto ancora una volta, la terza. In suo ricordo, vicino al luogo in cui era ubicato il suo negozio, nei pressi di Palazzo Giusso, sede dell’Università Orientale, vive uno Zeitun (Ulivo in arabo) interrato in suo onore, a ricordarlo e a ricordarci di implorare la pace e di ritornare a essere umani.


 

In memoria


 

Agli occhi di Alì e dei bambini palestinesi

che non ci sono più


 

 


 

 

                                                                                   Lucio Franco Masci

P. S. 

 

Tempo addietro, aprendo per caso una cartella del

mio sconfinato archivio di immagini digitali, mi è 

apparsa la foto ritratto dell'amico arabo, che avevo 

ripreso all'interno del suo bazar. Rivedendo il suo 

sguardo ho provato un senso di profonda compassione

e uno struggente dolore. 

Le parole del trafiletto le ho scritte non per dovere di

cronaca o di evocazione del ricordo né tanto meno, 

come avrebbe detto Borges, per pura vanità, ma per 

non dimenticare l'umanità di cui Alì  mi ha fatto dono 

e il mio debito verso di lui e la sua gente, alla quale chiedo

perdono di non aver compreso, da ragazzo, la sua inevitabile 

sofferenza e, conseguentemente, la sua ribellione.

 

 

 


 

 

 


 


 


 


 

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