LUCIO FRANCO MASCI


Laboratorio della Luce

La passione coltivata, da bambinio, per le arti figurative, da ragazzo, in primis, per la letteratura, e, in seguito, per la musica, la fotografia, il cinema e l’architettura, non si è mai esaurita. Tali discipline sono state e restano i miei grandi amori. E, insieme agli studi sui vini, la gastronomia e il paesaggio, iniziati durante la tarda adolescenza, mi fanno buona compagnia..

...inseguendo l'architettura... unastoriadamore

2025-09-08 09:26

Lucio Franco Masci

ARCHITETTURA, architettura,

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Le case dicono ciò che i loro abitanti non dissero mai. Adolfo Natalini

...inseguendo l’architettura…

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…inseguendo l'architettura…

una storia d'amore

 

 

Le case dicono ciò che i loro  abitanti non dissero mai.  

                                             Adolfo Natalini

          Dal crinale di una costola dell’alta collina, che sto circospezionando per un lavoro sul paesaggio agrario, guardando verso settentrione, scorgo un casolare ubicato in un ampio spiazzo circondato da erba alta e secolari piante d’ulivo. Quella costruzione in fondo alla valle m’incuriosisce, tanto! Non posso che andare là. Una volta giunto presso quel posto sperduto, m’incammino lungo la strada sterrata coperta da erbacce e piccoli arbusti, indizi che fanno capire che, da tanto tempo, non è più praticata; difatti si avverte quel senso di abbandono, misto di smarrimento e melanconia. Quella che prima era una carreggiata, mi porta sul fianco lungo l’abitazione e, infine, in un ampio spiazzo aperto sul prospetto breve, rivolto verso nord-est, e, con immenso stupore, scopro il terribile diroccamento del cantonale est e parte della contigua facciata di sud-est. Sebbene non possa assolvere la sua nobile funzione, ossia, quella dell’abitare, quella casa rurale respira ancora e, come un’inflessibile guardia, domina l’intorno. A ogni modo, essa è degna protagonista, per dirla con Eugenio Turri, di quel “Teatro del Paesaggio”, e recita bene la sua parte. Il geografo veronese, nel suo celebre saggio, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato [1998], scrive:

 

La concezione del paesaggio come teatro sottende che l’uomo e la società si comportino nei confronti del territorio in cui vivono in duplice modo: come attori che trasformano, in senso ecologico l’ambiente di vita, imprimendovi il segno della propria azione, e come spettatori che sanno guardare e capire il senso del loro operare sul territorio.

 

Sempre dal libro di Turri:

 

Attraverso il paesaggio infatti riconosciamo una cultura, una società, [...] nel paesaggio vengono in particolare appalesati i modi che una società ha fatto suoi e ha istituzionalizzato nel suo rapportarsi con la natura.

 

La casa è in perfetta sintonia con l’ambiente circostante, per cui chi l’ha edificata ha visualizzato, non importa se consapevolmente o inconsciamente, lo spirito del luogo e, di conseguenza, ha armonizzato l’aspetto formale e le proporzioni con esso. Ricordo l’incontro con Cristian Norberg-Schulz quando trattò tale argomento e, sopratutto, due sue emblematiche affermazioni inserite nel saggio Genius loci. Paesaggio, ambiente, architettura [1992].

La prima:

 

Il carattere è determinato da come le cose sono, e offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo "spirito del luogo" che gli antichi riconobbero come quell'"opposto" con cui l'uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare.

 

La seconda:

 

In genere, si può dire che i significati radunati dal luogo costituiscono il suo Genius Loci.

 

Pur essendo una modesta costruzione, colui che l'ha creata e le maestranze che l’hanno eretta, benché siano presenti alcuni errori progettuali, hanno realizzato una graziosa e pregevole opera di architettura.

 

Che cos’è, dunque, l’architettura? Non è facile rispondere… 

Sicuramente è attività di edificazione, nella quale la tecnica, quindi scienza della costruzione, e arte, intesa come ricerca della bellezza, coesistono, ed egregiamente assolvono la finalità del fruire efficientemente l’abitabilità.

 

Lentamente giro intorno al casolare e, scrutandolo con attenzione, ripenso alla lezione  sul Saper vedere l'architettura, di Bruno Zevi, inerente alla Quarta Dimensione, ossia a quella del Tempo, riguardante, per dirla poeticamente con Peter Handke, la “durata”, intesa, in questo caso, come percorso all’interno di una struttura architettonica. Caratteristica che contraddistingue quest’arte dalla pittura [bidimensionale] e dalla scultura [tridimensionale].

Mi allontano da esso, per riprenderlo da un punto di vista più distante. Osservandolo dal mirino, rammento un'enunciazione di Roberto Peregalli presente nel suo saggio I luoghi e la polvere [2010]: 

 

Esistono nelle città, nei paesi, nelle campagne, “rovine semplici”... Cascine abbandonate, un muro senza aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine.

 

Fortunatamente, non è il caso di ciò che ho di fronte.

Ancora Peregalli:

 

L'occhio che guarda questi luoghi immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge.

 

Il desiderio di entrare al suo interno, per scoprire l’intima conformazione, nonché i dettagli formali, le trame architettoniche, i sistemi strutturali, e comprendere meglio le ragioni del crollo, è molto forte; però, per prudenza, in quanto sono solo, non accedo e mi limito a registrare, da fuori, ciò che trovo interessante, sia con lo smartphone sia con la reflex digitale. Poi mi fermo… E vorrei che i muri mi raccontassero la storia dell’edificazione, di chi abitava là, della vita che si svolgeva e perché era stata abbandonata... In silenzio, iniziano a parlare… e ho l’impressione di vedere i volti delle persone che la frequentavano e cosa accadeva in quel posto, e poi, improvvisamente, sento le voci dei bambini che giocano felici nel prato… Vorrei tanto scoprire i segreti di quel luogo, ma ciò non è permesso! 

 

Tra l'erba alta intravedo un masso e vado a sedermi su di esso… E, nell'osservare la parte diroccata, dopo alcuni secondi, vedo scorrere, come in una proiezione cinematografica, certe parole di ammonimento di John Ruskin, riportate nel suo pregevole saggio Le sette lampade dell'architettura  [1849]…

 

Vigilate su un vecchio edificio con attenzione premurosa; proteggetelo meglio che potete e ad ogni costo, da ogni accenno di deterioramento. Contate quelle pietre come contereste le gemme di una corona; mettetegli attorno dei sorveglianti come se si trattasse delle porte di una città assediata.

 

Segue un'altra raccomandazione del restauratore romantico:

 

E tutto questo, fatelo amorevolmente, con reverenza e continuità, e più di una generazione potrà ancora nascere e morire all’ombra di quell’edificio. 

 

Faccio un altro giro, e giunto nel cantonale, rivolto esattamente a levante, mi blocco, e, subito dopo, una dolce brezza, proveniente dal mare, solcato dagli antichi greci, per arrivare sin qua, mi accarezza piacevolmente, e risento le parole di Giovanni Michelucci, di quando raccontava l’estasi, davanti al Partenone, di Le Corbusier, il quale, mentre, con ardente amore, lisciava, con le mani, le antiche pietre, e proferiva che quella creazione era l’opera più bella del mondo. Quella che ho di fronte è una modestissima costruzione di architettura, però, anche se mozzata, resta bella, proprio come la Nike di Samotracia. 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   L’architettura è l’arte del  tempo e della memoria.  

                                                            Adolfo Natalini

 

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                                            Lucio Franco Masci

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